Alle sette di sera, la coda all’ingresso del K41 si è moltiplicata. C’è da attendere oltre un’ora prima di poter entrare. All’interno, Viola è alla console. Sulla pista ci sono forse cinquecento persone. Moltissimi ragazzi ucraini e qualche expat, giornalisti e operatori di ong. Il K41 è un locale accogliente verso ogni tipo di diversità.
Il successo della musica elettronica in Ucraina è iniziato dopo Maidan, la rivoluzione del 2014 che causò la fuga dell’allora presidente e l’inizio dell’intervento armato russo nel paese. Maya Baklanova, giornalista musicale e attivista, che lavora nei circoli creativi di Kiev da un decennio, spiega che dopo la “rivoluzione della dignità”, come molti ucraini chiamano Maidan, diverse realtà sono nate tutte insieme: «Il primo è stato il Closer, uno dei centri culturali più importanti della scena di Kiev e di tutta l’Ucraina, dove si organizzano eventi di musica elettronica, ma anche jazz, gallerie d’arte e un po’ di tutto. In quegli anni è arrivata anche Cxema [che si legge “schema”], un rave nato in un garage che prima della guerra era arrivato ad avere cinquemila partecipanti».
La crescita di questo mondo creativo è aumentata quando nel 2017 è stato abolito il regime dei visti per entrare in Europa. A Kiev sono arrivate le compagnie aeree low cost e migliaia di ucraini hanno iniziato a visitare i club di Berlino, Parigi e Amsterdam, mentre gli europei hanno iniziato a scoprire quelli di Kiev, attirati da una scena musicale giovane ed entusiasta, non ancora completamente soggiogata alle logiche commerciali.
La musica elettronica è sempre stata importante per quella parte di società ucraina, urbana, istruita e cosmopolita che vuole una maggiore integrazione con l’Europa. «Mentre i musicisti pop continuavano a cantare russo per avere accesso ai mercati dell’ex Unione Sovietica, la scena della musica elettronica guardava a occidente», dice Baklanova, che oggi sta lavorando a una ricerca sui legami tra il contesto politico post Maidan e la scena culturale ed elettronica.
Un altro momento di crescita è stato durante la pandemia da coronavirus, quando Kiev era una delle poche capitali europee in cui era ancora possibile andare a divertirsi senza troppo problemi: per entrare al K41 bisognava fare un tampone e si ballava solo con la mascherina. «Persone da ogni luogo d’Europa arrivavano ogni weekend» dice Baklanova. «Chiamavano i voli con cui atterravano da Berlino e Londra techno flight: interi aeroplani pieni di gente vestita da rave. Andavi ai party e l’ucraino non era la prima lingua che sentivi».
Baklanova ricorda un episodio avvenuto nel 2021, quando al culmine di una campagna contro i club del quartiere Podil, portata avanti da politici conservatori e dall’estrema destra, ci fu una brutale irruzione di polizia al Closer. L’intera comunità creativa della città scese in piazza per protestare. Pochi mesi dopo, allo scoppio della guerra, uno dei politici che sostenevano la campagna contro i locali è fuggito in Russia e non molto tempo dopo è stato assassinato in un’operazione dei servizi segreti ucraini. «Immaginate cosa sarebbe successo se la Russia avesse vinto e questa persona fosse arrivata al governo – dice Baklanova – Era un nostro nemico, un nemico dei club, un nemico della comunità LGBT».
Baklanova non vede una contraddizione tra la guerra al fronte e i club pieni di persone intente a far festa. «Penso sia un privilegio stare seduti in Occidente e discutere su cosa dovremmo fare, se andare al bar o meno. Noi viviamo in una guerra che ci coinvolge tutti: non conosco nessuna persona che non abbia qualcuno al fronte. Ma allo stesso tempo dobbiamo mantenere la nostra salute mentale, e la vita sociale è un aspetto della salute mentale».
Un soldato con alcuni droni comprati con le donazioni del club fotografato di fronte all’ingresso del K41 a Kiev
Per molti appartenenti alla comunità culturale e creativa ucraina, come per Baklanova, questa è più di una guerra per una nazione. È un conflitto per difendere il proprio stile di vita, le proprie passioni, i propri amici. Mentre nel resto del paese cresce la stanchezza per il conflitto, tra molti creativi la determinazione a proseguire rimane forte. Baklanova frequenta corsi di sminamento, di sicurezza digitale e di medicina tattica e come molti suoi amici sta pensando di arruolarsi. Molti, come Daniel Detcom, dj techno, produttore e organizzatore di party, lo hanno già fatto.
«Non avrei mai immaginato di diventare un militare e di trovarmi un giorno seduto nel sotterraneo di un villaggio distrutto, a meno di dieci chilometri dal nemico, a fare musica con il computer poggiato sulle ginocchia, – dice Detcom mentre si trova sul fronte del Donbass – ma questo è quello che sta succedendo».
La storia di Detcom è un classico esempio delle dinamiche sociali dell’Ucraina moderna. Nato a Kharkiv, cresciuto in Donbass ed emigrato a Kiev, viene da una famiglia di ucraini “russificati”, che hanno cioè iniziato a parlare russo frequentando l’università e risalendo la scala sociale ai tempi dell’Unione Sovietica.
Nella Kiev indipendente degli anni Novanta, Detcom ha avuto il suo primo contatto con i media occidentali. «Ero un ragazzo affamato seduto davanti alla TV dopo la scuola, – racconta – guardando MTV ho assorbito molto di quello che vedevo, specialmente la musica degli anni ’80 e ’90». All’università ha iniziato a mettere i primi dischi alle feste degli amici e da lì è diventato uno dei più noti dj techno del paese.
Gli anni del boom della musica elettronica se li ricorda come uno dei periodi migliori della sua vita. «La scena musicale di Kiev era rigogliosa» dice, «quasi ogni fine settimana c’era un festival, un rave, un party. Non solo techno, ma anche drum & bass, hardcore techno, psychedelic trance e musica elettronica commerciale, van Buuren, David Guetta [due dei più famosi dj del mondo]. Dopo il 2014 abbiamo avuto un vero rinascimento, la scena locale ha iniziato a svilupparsi e le persone hanno cominciato a interessarsi davvero agli artisti locali. Abbiamo avuto tre Boiler room [uno dei principali eventi di musica elettronica, di cui Detcom è stato un organizzatore], l’ultima nel 2021. Era tutto grandioso».
Il dj Armin van Buuren a Kiev, prima della guerra (Vitaliy/Flickr)
Poi è arrivata la guerra. Detcom ha saputo dell’invasione alle sei di mattina del 24 febbraio, con ancora i postumi di una serata durata fino alle tre. Con alcuni amici ha deciso di arruolarsi immediatamente nella difesa territoriale. Il pomeriggio avevano già il fucile in mano e pattugliavano le strade della capitale. «Non avevamo scelta, – dice – i russi avevano lanciato un attacco generale».
Dopo la battaglia di Kiev, ha combattuto a Mykolaiv e partecipato alla controffensiva di Kherson. A quel punto si era già arruolato nell’esercito regolare. Dopo sei mesi è tornato a Kiev insieme alla sua unità per un periodo di riposo e ricostituzione. Quindi due mesi a Kharkiv, poi nel settore di Bakhmut. Dopo un altro periodo di ricostituzione la sua unità è tornata in prima linea. Da settembre si trovano in una foresta nel Donbass, non lontano da Chasiv Yar, l’area più attiva del fronte.
«La guerra, fino a ora, è stata come un giro sulle montagne russe». Ai momenti di entusiasmo, quando gli ucraini avanzavano, si alternavano fasi di depressione. «Bakhmut è stata dura, Avdiivka è stata dura» dice ricordando due delle principali sconfitte subite dagli ucraini nell’ultimo anno. «Ma dopo più di due anni non reagisco più come facevo prima, non so più nemmeno cosa dire. Sono più concentrato sulla mia unità, sulla mia gente. Quando abbiamo l’opportunità preferisco rilassarmi o fare musica piuttosto che leggere le notizie».
Daniel Detcom sul fronte del Donbass con la sua automobile (foto Daniel Detcom)
Con la sua unità a quest’ora Detcom avrebbe dovuto già essere da un pezzo a Kiev per un nuovo periodo di riposo. Ma con la guerra che va sempre peggio, sono dovuti rimanere al fronte. Ha dovuto cancellare un paio di concerti che aveva in programma. Ma ha intenzione di tornare a suonare, non appena terminerà questo lunghissimo turno di servizio al fronte. «È importante, è una delle ragioni per cui combattiamo: per permettere a chi sta a Kiev di avere una vita», dice. «Quando andremo in licenza non voglio andare in una deserta città fantasma, voglio andare in un ristorante, in un club, vedere gli amici».
Al K41 sono parecchi a vederla allo stesso modo. Soldati in licenza, volontari, ragazzi e ragazze che donano parte dei loro guadagni alle forze armate. Ogni serata, il club raccoglie più di seimila euro per l’esercito. La guerra qui è lontana, ma allo stesso tempo costantemente presente.
Viola, il dj italiano, si è trovato improvvisamente di fronte a questa complicata contraddizione quando si è ricordato che in uno dei suoi pezzi c’è una sirena di sottofondo, identica a quelle che suonano durante gli attacchi aerei in città. «Che cavolo sto mettendo su?», si è detto mentre era ormai troppo tardi per cambiare pezzo, preoccupato che quel suono potesse ricordare ai presenti qualcosa che erano venuti a dimenticare. Ma la reazione delle persone sulla pista è stata positiva. Alla fine della serata c’era la fila per ringraziarlo di essere venuto fino in Ucraina.
«Il ballo come liberazione è una cosa di cui ha bisogno la parte della società che soffre di più. Come la taranta, che veniva ballata dalle donne dei villaggi del sud Italia» dice Viola il giorno dopo. «Credo che per la maggioranza delle persone l’importante ieri sera sia stato venire a sfogarsi, dimenticarsi dei bombardamenti, lasciarsi andare. Adesso più che mai le persone qui hanno bisogno di sfogarsi e il ballo è parte dello sfogo».